Le unità minime di avvicinamento sono piccole porzioni che mi portano sempre più vicino al lavoro finale, che sia un tattoo, un disegno un quadro.
Raccolgo pezzi per strada, che sia una strada di città, un percorso nato in un libro, una cazzo di serie tv, un amico che mi telefona, una relazione finita, sia bene, sia male, sia boh…perchè dai, ma quante relazioni finiscono boh, nel senso:” Ma che cazzo ci sono stato a fare?”
Cerco di ricomporli pian piano per dare un senso a quello che ho provato, alle emozioni che tante volte ho faticato a distinguere.
Io ho bisogno di tempo, non sono uno di quelli “ue, yo, a mille bro!” ho bisogno di prendermi ancora del tempo dopo che ho provato qualcosa, ho visto qualcuno o qualcosa e devo lasciare che maturi all’ interno, alle volte da solo, alle volto dopo un buon tempo di analisi e meditazione.
Prendo quelle emozioni e quelle sensazioni e le ricompongo al mio interno. Spesso per ricomporle ho bisogno di vedere dove sono e di che colore sono, sono nere, sono a colori, e di che colore, ed ecco che le trasformo in queste unità minime di avvicinamento.
Perchè ho capito che la vita dell’ artista, è proprio una vita, piena di avvicinamenti….
Da ragazzo pensavo che artista fosse sinonimo di: “devo avere successo per essere diverso dagli altri”.
E di successi ne ho avuto a decine, ma spesso i successi mi lasciavano più vuoto di prima, mi davano un enorme senso di depressione che facevo fatica a capire, e allora ripartivo con la performance, in modo da mettere un altro successo in linea di produzione, pensavo che il trucco fosse inanellare il numero maggiore di successi possibile nel tempo più ravvicinato possibile così da non sentire le emozioni “negative”
Poi pian piano mi sono reso conto che non ero io, non stavo facendo Mario, stavo facendo un film di Hollywood più qualche cattivo maestro lungo la strada.
E allora ho riletto Pasolini, Eliot, Beckett, al limite qualche aforisma di Oscar Selvaggio, ho guardato i film di Bud e mi sono rivisto la trilogia, ho rivisitato Paolo Villaggio e Troisi, ho ripreso Noam che per quanto stucchevole fa sempre bene, mi sono fatto quattro risate con Zalone e ho visto le partite di calcio, qualche birra con gli amici, i miei figli la sera, il cane.
Ho capito che la mia arte (che continua a dami fastidio chiamarla arte, non posso dire vita?) consiste nell’ avvicinarmi il più possibile al dolore psichico per tirarci fuori un qualcosa di diverso, una speranza che ci sia un unità simile ma con colori diversi.
Probabilmente lo capirò alla fine questa lunga ricerca, o magari nemmeno la capirò, ma ho raccolto migliaia di esperienze e queste, per quanto minime, per quanto infinitesimali hanno composto il tutto totale.
Io penso che ci siano unità minime di avvicinamento un po’ ovunque, delle volte mi sembro più psicotico di quello che sono, raccolgo legnetti per strada, foglie che si sbriciolano in tasca, faccio foto a pozzanghere e a macchie per terra che mi sembrano fantastiche, e penso che la cosa bella è che quelle unità sono di tutti, tutti le possono trovare.
Lo stesso vale per le esperienze, cerco sempre di notare se mi hanno lasciato qualcosa e, dato che a distanza di anni mi ricordo ancora i denti strani della signora bionda tinta in casa col cane bruttarello ma tanto carino, penso che un segno lo abbiano lasciato, anche queste esperienze da nulla sono di tutti perchè tutti possono incontrare una signora bionda con la tinta fatta in casa.